
Roma, 30 aprile 2018
Ti va di venire con me a condividere il silenzio? Ti va di stare con me quando voglio stare da sola? Ti va di sederci a guardare le stelle in una fresca notte d’estate? Tu sei l’unica persona con cui vorrei stare quando voglio stare da sola. Tu sei l’unica persona con cui vorrei condividere il silenzio. Tu sei l’unica persona con cui vorrei guardare le stelle in una fresca notte d’estate.
Un passo dopo l’altro. Un piede avanti all’altro, come insegnano all’asilo. Alzi lo sguardo, il sole, le nuvole. Le linee dritte i binari del treno la stazione di lunedì pomeriggio. Due occhi come nuvole, il cielo condensato in un attimo di pace, una fiamma sulla pelle. Fa caldo te ne sbatti hai bisogno di toccare hai fame di pelle. Labbra al gusto di fumo manco fosse una canzone, sorrisi scemi che nascondono intenzioni. Torni indietro di nuovo un passo dopo l’altro. Un piede avanti all’altro, come insegnano all’asilo. Alzi lo sguardo, i suoi capelli, i suoi occhi.
A volte, vorrei essere felice come un cane. Vorrei avere un padrone che mi ami, che mi porti la pappa e mi faccia fare un giro in cortile ogni mattino e sera. Vorrei un padrone che mi faccia le coccole come se fossi l’unico essere vivente di cui gli importi, che mi lanci un bastone per farselo riportare, trotterellando e scodinzolando, ogni volta come la prima volta. A volte, vorrei essere felice come un cane. Vorrei stare alla finestra ululando perché mi manca il mio padrone, il mio universo, e saltargli addosso quando entra dalla porta, come se fossi stato solo per tutta la vita aspettandolo. A volte, vorrei essere felice come un cane.
“Mh no, magari domani.” Quante storie cominciano così. Iniziare la dieta? Magari domani. Andare in palestra? Magari domani. Scrivere a qualcuno che ci manca? Magari domani. Pensiamo di avere tempo, domani. Se oggi siamo impegnati, se oggi abbiamo preso il telefono in mano mille volte per controllare le notifiche, se abbiamo aperto quella chat pensando alle parole giuste per iniziare una conversazione, per rispondere ad un messaggio ormai in ritardo, se poi un impegno ci ha colti e non abbiamo scritto nulla, pensiamo di avere tempo di farlo domani. Pensiamo che non cambi nulla, se scriviamo domani. Siamo convinti che l’altro legga nella nostra mente le nostre intenzioni, che sappia che stiamo pensando a lui, che sappia che vogliamo scrivere qualcosa ma non sappiamo cosa. Finisce la giornata, sei stanco e hai a malapena la forza di metterti il pigiama per dormire ed ecco che ti torna alla mente il pensiero di quel messaggio non scritto. Resti là nel letto, con il telefono in mano pensando che ormai è tardi per scrivere, che sicuramente sarà già andato a letto o si incazzerà dato che rispondi tardi. Così metti il telefono sul comodino, attacchi il caricatore e ti convinci di avere tempo domani.
Non avrai tempo, domani. E se avrai tempo non avrai voglia, e se avrai tempo e voglia allora ti coglieranno i sensi di colpa di essere sparito. È difficile reggere una conversazione. È difficile aspettare un messaggio da persone a cui teniamo. Aspettare, anche per ore o giorni, sapendo che è difficile reggere una conversazione e che il più delle volte neanche noi ne siamo capaci, è anche peggio. Ma lo fai, lo fai e lo farai sempre. Aspetti.
Vorrei annegare. Sparire. Come il vento soffiare via da tutto e tutti e visitare posti nuovi. Il vento del nord che mi porta via, che mi costringe a scappare. Il dondolio dell’oceano che mi culla, che soffoca ogni mia emozione, sensazione, respiro. A poco a poco sentire brividi sul corpo, il freddo che entra nelle ossa attraverso le crepe della mia pelle. Il dolore che scoppia nella testa, il sangue che si gela il respiro che si ferma. “Come ho detto, avvengono delle sparizioni. Il dolore diventa un fantasma, il sangue smette di scorrere e le persone, le persone svaniscono. Ho altre cose da dire. Molte altre cose. Ma sono scomparse. Se io sparissi, qualcuno se ne accorgerebbe?”
Sono un’egoista. Mi affeziono sempre a persone sfuggenti, puzzle di mille pezzi disposti confusamente sul pavimento. Come un’egoista ne voglio un pezzo, di quel puzzle. Di quel vetro rotto tanti anni fa di cui si sono perse alcune schegge nel vento. Sono meschina. Con un filo dorato mi illudo di poter ricucire quei pezzi sparpagliati, per poi avere la pretesa di meritarne almeno uno tutto per me. Come se la fatica di aver unito i pezzi mi desse la giustificazione di poterne conservare uno. Sono un’egoista, perché nutro la speranza che a qualcuno importi dei miei pezzi persi nel vento, delle mie schegge taglienti al tatto. Sono un’illusa, perché chi ha pezzi di vetro da cui scappare, che accuratamente ha disposto sul pavimento, non rischia di voltarsi e camminarci sopra per raggiungere i tuoi.
È strano, quando ti manca qualcuno. Spesso la sensazione ti assale quando meno te lo aspetti, mentre sei sul divano che guardi la TV o mentre mangi, mentre guidi o mentre stai studiando. Ti distrai un attimo, la mente vaga e ti ritrovi a pensare alla sua voce, ai suoi occhi, ai momenti in cui pensavi che saresti stata felice. È strano quando ti manca qualcuno. È involontario, capita. Il castello di carta che avevi costruito crolla, ogni volta la crepa è nello stesso punto. Sarà colpa del vento, pensi. O magari delle carte, del tavolo un po’ ballerino su cui poggiano. Più passa il tempo però, ti rendi conto che la colpa è del costruttore di quel castello. Il muratore, che impila le carte sempre allo stesso modo, e sempre allo stesso modo inclina il tavolo in modo che sempre nello stesso punto si formi una crepa. È strano quando ti manca qualcuno, perché la maggior parte delle volte è per colpa tua che se n’è andato.